Cari Amici

Cari amici - in questo momento io posso dire soltanto: pregate per me, perché io impari sempre più ad amare il Signore. Pregate per me, perché io impari ad amare sempre più il suo gregge - voi, la Santa Chiesa, ciascuno di voi singolarmente e voi tutti insieme. Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi. Preghiamo gli uni per gli altri, perché il Signore ci porti e noi impariamo a portarci gli uni gli altri".  (Benedetto XVI)

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Maria, come scala ponte e porta del cielo


“De Maria numquam satis”, su Maria non si dirà mai abbastanza, recita da secoli un detto molto conosciuto. Quanto è stato scritto, narrato, riflettuto, cantato, dipinto, raffigurato, danzato, sceneggiato sulla Madre di Gesù! Tra le innumerevoli lodi innalzate a Maria lungo i secoli, c’è l’antico, stupendo inno Akáthistos della liturgia bizantina. Dentro un’architettura poetica molto curata troviamo espressioni e immagini meravigliose che celebrano in forma poetica la bellezza di Maria.  Maria come scala, ponte e porta.


Ave, o scala celeste che scese l’Eterno.
Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo.
Ave, tu porta del sacro mistero.
 

Da sempre l’uomo avverte come insormontabile la distanza tra il cielo e la terra, tra il suo mondo e quello misterioso e irraggiungibile dove abita la divinità. Da sempre egli desidera che questa distanza si accorci, che la sfera divina e quella umana si tocchino per un abbraccio. «Se tu squarciassi i cieli e scendessi!» (Is 63,19): questo grido del profeta Isaia esprime un anelito profondo dell’umanità.
L’umanità ha tentato di superare questa distanza di propria iniziativa e con i propri mezzi. Adamo e Eva hanno ceduto alla tentazione di «diventare come Dio» (Gn 3,5). I loro discendenti hanno cercato di «costruire una torre e una città, la cui cima tocchi il cielo» (Gn 11,3). E naturalmente la loro impresa fallì, con conseguenze dolorose. Andando avanti nella storia, gli uomini hanno imparato gradualmente che il “salire” dell’uomo in cielo non è possibile se non preceduto da un “discendere” di Dio sulla terra. Si rivolgono quindi a Dio nella preghiera, perché Egli si “chini” su di loro (Sal 14,2; 53,3; 102,20; 113,6), e vedono in ogni intervento divino a loro favore un “scendere” di Dio verso il suo popolo (Es 3,8; 19,11; Nm 11,17; Sal 144,5).


La terra
è un riflesso della bellezza del cielo


Intanto si matura l’idea che Dio ama manifestarsi in determinati luoghi, luoghi santi scelti da Lui come punto di contatto tra cielo e terra. Così esclama Giacobbe dopo aver visto in sogno la scala che dalla terra saliva fino al cielo: «Quanto è terribile questo luogo! Questo è proprio la casa di Dio, questo è la porta del cielo!» (Gn 28,17). Al tempo di Davide e Salomone, il luogo santo per eccellenza diviene la città di Gerusalemme e soprattutto il tempio. Da allora, l’esperienza del tempio è il desiderio più grande di ogni pio Israelita.
La situazione cambia con l’incarnazione. Ora il punto d’incontro fra la sfera divina e quella umana non è più un luogo, ma una persona, il Figlio di Dio fatto uomo, colui che professiamo nel Credo: «per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo». Egli porta il cielo sulla terra e solleva la terra al cielo. Facendosi abitante del mondo annuncia a tutti i suoi coinquilini questo lieto messaggio: la terra è un riflesso della bellezza del cielo. Tutto il cosmo è un sacramento dell’amore divino.
Questa trasformazione si è realizzata con la umile collaborazione di Maria, la madre; colei che, in maniera unica, rende concreta, corporea, umana, la presenza di Dio. Presentandola avvolta dallo Spirito (Lc 1,35), Luca vede Maria come nuovo tabernacolo e nuovo tempio, nuova arca dell’alleanza, nuova dimora di Dio, nuovo spazio di salvezza. Nella tradizione iconografica ella è spesso raffigurata come la platitera, la “più vasta dei cieli”. Colui che i cieli non possono contenere prende dimora nel suo grembo. Colui per mezzo del quale «tutto è stato fatto» (Gv 1,3), colui in cui avviene la «ricapitolazione di tutte le cose, quelle del cielo come quelle della terra» (Ef 1,10), abita in Maria per trasformare tutto il mondo in casa sua e tutta l’umanità, i suoi coinquilini, non più stranieri, ma «concittadini dei santi e familiari di Dio» (Ef 2,19).

 
L’“Odigitria”, che indica la via

Non è soltanto lo spazio fisico, ma soprattutto lo spazio interiore di Maria che la rende il luogo dell’abbraccio tra il cielo e la terra. Nella preghiera del Padre nostro, insegnando ai suoi discepoli a dire «sia fatta la tua volontà come in cielo così in terra» (Mt 6,10), Gesù mostra in che modo si realizza questo abbraccio tanto atteso dagli uomini e anche da Dio: fare la volontà del Padre. Egli avrebbe potuto additare come modello sua Madre, la quale, pronunciato il fiat, è diventata “scala”, “ponte” tra cielo e terra.
Scala, ponte, porta: sono tutte immagini di collegamento dinamico, che parlano di comunicazione, di movimento. Nei Vangeli, Maria è spesso in cammino. I suoi spostamenti sono frequenti: Nazaret, Ain Karim, Betlemme, Gerusalemme, Egitto, sono accompagnati da un movimento interiore ben più intenso. La sua «peregrinazione della fede» (Lumen Gentium, 58) è modello del nostro camminare verso la mèta celeste. Mentre Gesù rivela se stesso come «la via» (Gv 14,6), «la porta» (Gv 10,1), Maria è venerata dalla Chiesa come «Odigitria», colei che indica la via, e «ianua coeli», la porta del cielo.

                                  Ave, o scala celeste che scese l’Eterno.
                                  Ave, o ponte che porti gli uomini al cielo.
                                  Ave, tu porta del sacro mistero.

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“ tu, non temere, perché io son teco; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia"
(Isaia 41,10)

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