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LA MISERICORDIA DI DIO NON TI GIUDICA MA TI AMA

Gesù non chiede mai: «Da dove vieni?», ma sempre: «Dove vuoi andare?».

Cari amici quella che può sembrare una frase fatta nasconde una profonda teologia, una nuova antropologia e in modo particolare la speciale pedagogia di Dio.
Nel Vangelo appare chiara innanzitutto una radicale distinzione che Gesù fa tra il peccato e il peccatore.
Il peccato è ciò che allontana dalla Comunione con Dio e con i fratelli ma il peccatore in quanto battezzato e ancor prima uomo è "pieno" comunque della sua indistruttibile dignità di figlio di Dio. Quando nel testo della Genesi Dio crea l'uomo "a Sua immagine e somiglianza" si vuole esprimere un rafforzativo più che un concetto proprio perché la lingua ebraica sottolinea il superlativo o l'importanza di una affermazione ripetendo due volte lo stesso aggettivo o la stessa considerazione: come a dire "veramente l'uomo è immagine di Dio!".
Tuttavia la sacra scrittura vuole esprimere un altro significato ben sviscerato dalla teologia dei Padri, e cioè, che l'uomo, in quanto creatura libera si autodetermina e si rende libera in senso operativo e ontologico nel seguire il suo cuore (sede della legge di Dio) e nel seguire la persona di Gesù Cristo e la Sua Chiesa.
La somiglianza, infine, è l'adesione libera e piena dell'uomo al volere di Dio, volere fatto carne nella persona di Gesù Cristo. La somiglianza dunque è l'esplicitazione storica della pienezza e della bellezza dell'immagine.
Questa immagine non è cancellata da nessun peccato e l'inferno non è altro che l'estremo atto d'amore di Dio che rispetta il fatto che non vuoi essere ciò che sei; lasciandoti "libero" di dissociare radicalmente l'immagine dalla somiglianza.
Ecco perché Gesù non ti giudica in quanto persona ma ti ricorda sempre ciò che sei e ciò che puoi diventare; questo non per costrizione ma con una proposta... "se vuoi..".
Noi siamo spesso ben più puristi di quanto dovremmo scandalizzandoci del peccato altrui, e, quel che è più grave, soprattutto del nostro.
In tal modo infatti (non perdonandoci, non accogliendo il perdono di Cristo) obnubiliamo la nostra capacità di giudizio.
Leggiamo dai giornali molte brutture  che ci avvelenano l'animo e ci fanno prendere posizione, ma purtroppo non la posizione di Gesù.
"Se aveste capito cosa significa - Misericordia Io voglio - " ricorda Gesù ai farisei... Ma cosè la misericordia? E' un atteggiamento da deboli, da sconfitti come ci hanno ricordato continuamente i maestri del sospetto?
In ebraico la misericordia si esprime con un termine "HESED" che significa viscere d'amore per spiegare l'amore di Dio per l'uomo a partire dall'analogia dell'amore viscerale, unico e materno, della madre per il proprio figlio. Ecco Dio ti ama così, qualunque cosa tu abbia compiuto, nei fatti o nelle omissioni.
Dio chiama per nome il peccato, quella strada e quella scelta maligna che hai percorso ma ti ricorda che tu sei ben più prezioso di qualunque peccato.
Leggendo il commento di alcune giornali ho letto una deformazione puritana operata dalle testate giornalistiche sulle parole del Santo Padre: "Mi vergogno dei preti pedofili"... ma il Papa non ha mai detto questo ma piuttosto "noi tutti proviamo un profondo senso di tristezza e di vergogna..."; come se il Santo Padre (come vicario di Cristo e come rappresentante della intera comunità ecclesiale) fosse calato profondamente nel dramma di quelle vite ferite per sempre dalla violenza affettiva e sessuale (e nel dramma delle loro famiglie), ma anche, dunque, nel dramma di quei sacerdoti responsabili di quell'abominio.
In sostanza il Santo Padre non prende distanza da nessuno; né dai feriti e né da chi ha terribilmente ferito (perché sono tutti suoi figli proprio perché figli di Dio) ma dal peccato in quanto tale.
Anzi se ne fa carico come cosa propria con compassione e sgomento. Questa è la misericordia; la compassione amorosa di farsi carico nell'intimo della miseria umana che oscura la sua ineludibile grandezza. Non scorderò mai quel passo della vita di S. Francesco in cui un giorno il santo passeggiava con fra Masseo, il più nobile e bello del gruppo dei frati il quale si chiedeva insistentemente e con una punta di invidia: "perché tu; perché la gente viene dietro a te! Non sei né bello, né nobile, né hai un bel parlare... eppure..". E Francesco, passato sotto il vaglio storico dell'azione dello Spirito, ripetè: "perché il Signore non ha trovato nessuno più peccatore sulla terra su cui manifestare la Sua misericordia!". Ecco la risposta del Santo amato da tutti ma così poco conosciuto... una risposta di radicale autocoscienza; come a dire: "caro fra Masseo dietro ogni peccatore, anche il più abominevole che c'è sulla terra, qualunque cosa egli abbia potuto fare io sono potenzialmente peggio di lui ed è solo la grandezza amorosa e misericordiosa di Dio che mi ha protetto perché il mondo sappia che Egli ama visceralmente sempre e comunque; in qualunque dramma, in qualunque bruttura, in qualunque scandalo e soprattutto nel mio scandalo perché io mi faccia prossimo e non giudice!".
Una risposta che responsabilizza, quella di S. Francesco, che mi responsabilizza nel ricordare a me e al fratello cos'è il peccato ma soprattutto la grandezza della mia dignità.
Già! Il giudizio sulla persona prende le distanze; il giudizio sulla situazione e sul peccato responsabilizza e crea vicinanza col ferito e con il ferente. Ma per questa libertà interiore tanto è il cammino di autocoscienza nello Spirito che bisogna fare... anche se comincia da un piccolissimo passo... quello che io posso fare nella coscienza, ora, nel fatto dell'amore di Dio per me; nonostante tutto. Già K.G. Jung circa 800 anni dopo scriveva così ad una sua amica credente:
“Accettare se stessi sembra molto semplice, ma le cose semplici sono sempre le più difficili...l’arte di essere semplici è la più elevata, così come accettare se stessi è l’essenza del problema morale e il nocciolo di un’intera visione del mondo...ospitando un mendicante, perdonando chi mi ha offeso, arrivando perfino ad amare un mio nemico nel nome di Cristo, do prova senza alcun dubbio di grande virtù...quel che faccio al più piccolo dei miei fratelli l’ho fatto a Cristo!!!.. MA SE IO DOVESSI SCOPRIRE CHE IL PIÙ PICCOLO DI TUTTI.. IL PIÙ POVERO DI TUTTI I MENDICANTI, IL PIÙ SFACCIATO DEGLI OFFENSORI, IL NEMICO STESSO, È IN ME, CHE SONO IO STESSO AD AVER BISOGNO DELL’ELEMOSINA DELLA MIA BONTÀ, CHE IO STESSO SONO IL NEMICO DA AMARE, ALLORA CHE COSA ACCADREBBE?... Di solito assistiamo in questo caso al rovesciamento della verità cristiana, allora scompaiono amore e pazienza, allora insultiamo il fratello che è in noi, allora ci condanniamo e ci adiriamo contro noi stessi, nascondiamo agli occhi del mondo e neghiamo di aver mai conosciuto quel miserabile che è in noi, e se fosse stato Dio stesso a presentarsi a noi sotto quella forma spregevole, Lo avremmo rinnegato mille volte prima del canto del gallo”.
Per questo Gesù non ti giudica e non ti chiede da dove vieni... ma chi vuoi essere e dove vuoi andare? Ti chiede se vuoi IL SUO AMORE UNICO PER TE! Ti dona, disarmato la Sua Signoria nella tua vita....
Ti chiede: "quanto vuoi amare?" Ed ancora, come nella Genesi, : "dov'è tuo fratello?"

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L'ADORAZIONE PURA DEGLI ESSERI SPIRITUALI


La natura di Dio è infatti infinitamen­te gloriosa, e a ogni creatura che ne ha percepito la gloria diventa impossibile cessare di lodarla, fosse pure anche per un solo istante.
Allora hai accesso alla preghiera di adorazione degli es­seri spirituali...

"Il Signore sarà con voi, se voi sarete con lui; se lo ricercherete, si lascerà trovare da voi, ma se lo abbandonerete, vi abbandonerà" (2Cr 15,2).

"Di questo il Signore ha parlato quando ha detto: “A chi si avvicina a me mi mostrerò santo” (Lv 10,3).

"Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui" (Gv 14,2 1).

Perciò, quando il tuo cuore si interessa delle qualità trascendenti di Dio e si avvicina a lui mediante la preghiera, tu cominci a gustare il sa­pore divino.
Ogni volta che ti viene rivelata una nuova qualità divina, ne ricevi qualcosa; perché Dio non ti si manifesta attraverso una conoscen­za teorica, bensì attraverso la comunicazione mi­steriosa di una potenza divina.
Durante la preghiera Dio libera il tuo cuore dal fitto velo della ragione umana e ti rivela il suo disegno, l'economia secondo la quale egli guida la creazione intera e la tua stessa vita at­traverso i vari avvenimenti e il succedersi degli anni. Ne riceverai allora una chiara percezione delle qualità di Dio, ma mediante un'intuizione interiore accompagnata da una comunicazione di potenza. Allora tu gusti Dio e lo assapori, co­sì come puoi assaporare un favo di miele.
Se il miele, che pur è deperibile, ha la pro­prietà di rianimare il corpo, quanto più Dio non infiammerà il tuo essere interiore? Sentirai allo­ra il fuoco di Dio ardere in te, ora per purificar­ti, ora per consolarti e rallegrarti, ora per susci­tare in te un desiderio ardente del regno, ora per spingerti all'azione e al dono di te stesso.
Ma, quali che siano i sentimenti suscitati in te dal fuoco divino, la tua preghiera, in virtù dell'e­sperienza che ne hai fatto, si innalza sempre a un grado supremo di lode e di glorificazione delle qualità indicibili di Dio. Né la lingua, né l'intelligenza, né il corpo si stancano di lodare e di esaltare il Nome di Dio e le sue qualità.
Que­sta preghiera infuocata che non fa altro che lo­dare e glorificare le virtù divine è simile alla preghiera dei cherubini. Sta scritto che i cheru­bini sono "pieni di occhi" (Ez 10,12), come se­gno della contemplazione intensissima con cui essi percepiscono la natura di Dio. Ma tale per­cezione della natura divina non si opera in essi mediante la ragione, su un piano teorico, bensì attraverso una comunicazione di potenza. Per­ciò è ugualmente detto che essi sono "ardenti come torce" (Ez 1, 13), per significare che sono vivamente influenzati dalla natura di Dio. La re­lazione fra le due espressioni: "pieni di occhi" e "ardenti come torce" è una relazione fondamen­tale nella creazione spirituale, poiché la chia­ra percezione di Dio nella preghiera conduce necessariamente a una certa partecipazione alla natura di fuoco di Dio.

"Il nostro Dio è un fuoco divoratore" (Eb 12,29). "Egli fa i suoi angeli pari ai venti, e i suoi ministri come fiamma di fuoco " (Eb 1,7).

Sappiamo, d'altronde, che la preghiera dei cherubini e dei serafini consiste nel proclamare incessantemente, con voce infaticabile e con labbra che non si stancano mai, la lode e la glo­ria di Dio: "Santo, santo, santo..." (cf. Is 6,3; Ap 4,8). La natura di Dio è infatti infinitamen­te gloriosa, e a ogni creatura che ne ha percepito la gloria diventa impossibile cessare di lodarla, fosse pure anche per un solo istante.
Perciò, quando nella preghiera rivolgi a più riprese lo sguardo con amore verso il volto di Gesù Cristo, senza avere altro intento che quello di amare Dio e di rendere a lui gloria, allora la tua anima si trova liberata dal fitto velo della ra­gione, e tu afferri la gloria della natura divina in Cristo. “Dio rifulse nei nostri cuori, per far ri­splendere la conoscenza della gloria divina che rifulge sul volto di Cristo” (2Cor 4,6). Allora hai accesso alla preghiera di adorazione degli es­seri spirituali...
E’ così che, durante la preghiera di contem­plazione di Cristo, Dio ti dà innumerevoli occhi di cherubino perché "risplenda nel tuo cuore la conoscenza della gloria di Dio".
"Allora il tuo cuore si trova così infiammato dal fuoco divino che tu diventi incapace, in quelle ore benedette, di fare altra cosa che non sia quella di glorificare Dio senza interruzione..."

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Padre Amorth si scaglia contro i seguaci del santone Sai Baba

Ieri abbiamo appreso la notizia della morte del famoso santone Sai Baba e  in India si parla già di un suo ipotetico successore.. Padre Amorth famoso esorcista  mette in guardia riguardo il pericolo nei quali s'incorre frequentando "certi personaggi"

Lunedì 8 marzo 2004, sul quotidiano "Il Resto del Carlino" è apparso un articolo firmato da Viviana Bruschi, basato in gran parte su un'intervista a padre Gabriele Amorth, esorcista della Santa Sede e presidente internazionale dei sacerdoti esorcisti. All'interno dell'articolo è ribadita l'opinione che la Chiesa cattolica ha di Sai Baba:

Padre Amorth si scaglia contro i seguaci del santone Sai Baba: "E' pericoloso"
"Satana? E' in India"

Per il sacerdote esorcista della Santa Sede, utilizzare le polveri distribuite dal famoso mistico significa aprire la porta al demonio. "Quell'uomo si ritiene Dio, spesso ho dovuto scacciare il diavolo da chi è andato a visitarlo".
di Viviana Bruschi

MODENA – Viaggio in India con sosta da Sai Baba. Il santone riceve e ascolta. L’atmosfera attorno è ovattata, quasi surreale. Sai Baba conosce il passato della persona e glielo snocciola, poi dà consigli per il futuro e crea dal nulla le famose polveri che, sostiene, dovrebbero guarire tutte le malattie, fisiche e psichiche.
La turista italiana ringrazia, s’inchina, saluta e, anche se europea, lo fa con le mani giunte all’altezza del petto (un gesto che oggi è di moda). Una volta a casa, regala la polvere a destra e a manca perché, assicura, “è miracolosa, fa bene, dà pace”.
La visita al santone indiano è diventata ormai consueta come la sosta al santuario di Loreto, ma la differenza c’è e si vede. Al punto che a lanciare l’allarme ‘Sos polveri’, niente a che vedere con quelle da inquinamento che stanno facendo ammattire assessori al traffico e automobilisti, è l’esorcista della Santa Sede e presidente internazionale degli esorcisti, il modenese padre Gabriele Amorth.
”Consiglio vivamente alle persone di evitare la tappa da Sai Baba – avverte padre Amorth – perché il più delle volte necessitano di preghiere di liberazione e, nei casi più gravi, di esorcismi. Noi siamo in pochi e il lavoro sta aumentando a dismisura”. Sai Baba, insomma, sarebbe un eccellente e ignaro procacciatore di lavoro per i pochi, circa 300, esorcisti italiani. Un numero che ai non addetti ai lavori sembra elevato, ma che di fatto “è pochissima cosa rispetto al proliferare di persone disturbate e possedute”, precisa don Amorth.
Il sacerdote esorcista ritiene Sai Baba un emissario di Satana. “E’ il suo figlio primogenito, non ho dubbi in proposito. Parla bene di tutti, di Gesù in particolare, ma il dio è lui. Aiuta con cospicue donazioni gli ospedali dei villaggi indiani, apparentemente fa del bene perché il diavolo è furbissimo, ma il dio si ritiene lui, gli altri sarebbero tutti profeti. Tanti turisti italiani, donne in special modo, cadono nella sua rete”.Il santone indiano, secondo padre Amorth, crea nel visitatore, se assiduo ancor peggio, una sorta di catena spirituale negativa, insomma un legame, una dipendenza, come del resto fanno maghi e cartomanti.
”Ho impiegato anni per liberare, nel nome potente di Gesù, una signora, madre di quattro bambini, la quale era andata numerose volte a trovare il santone in India. Molte volte gli aveva baciato i piedi, Satana vuole essere adorato, e molte volte aveva mangiato la polvere. Bene, questa signora per anni ha sputato sangue per liberarsi dalle polveri. Ma non sempre è così. A volte può bastare una sola seduta d’esorcismo per liberare la persona. Tutto dipende dalla forza con cui il demonio è entrato in lei, dai disturbi del paziente e dalla sua collaborazione”, spiega l’esorcista.
Il quale precisa che non è automatico il pericolo che un “passaggio” da Sai Baba finisca con il causare per tutti una sosta obbligata dagli esorcisti. “Ma il più delle volte – precisa padre Amorth – la persona necessita di preghiere di liberazione, e in quel caso vanno benissimo i gruppi carismatici cristiani. Frequentare santoni, maghi e cartomanti – insiste l’esorcista vaticano – all’inizio può dare un senso di sollievo, perché il demonio è furbo, ma è importante che la gente sappia che ha aperto una porta al principe del male. Già tanti sono gli italiani, circa dodici milioni, che ricorrono all’occulto. E adesso proliferano pure gli adepti di Sai Baba”.

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Messaggio di Medjugorie del 25.04.2011

                                                                          Messaggio del 25 aprile 2011
 
 
 
 
 
Cari figli, come la natura dà i colori più belli dell'anno, così anch'io vi invito a testimoniare con la vostra vita e ad aiutare gli altri ad avvicinarsi al mio Cuore Immacolato perché la fiamma dell'amore verso l'Altissimo germogli nei loro cuori. Io sono con voi e prego incessantemente per voi perché la vostra vita sia il riflesso del paradiso qui sulla terra. Grazie per aver risposto alla mia chiamata.

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Gesù è crocifisso (secon do rivelazioni suor Caterina Emmerick)

Gli sgherri strapparono a nostro Signore il mantello, la cintura di ferro e la cintura, quindi gli tolsero la veste di lana bianca facendola passare sopra la sua testa. Non riuscendo a sfilargli la tunica, impedita dalla corona di spine, gli strapparono quest'ultima con violenza, riaprendogli tutte le ferite del capo. Il Signore rimase con un panno attorno alle reni e lo scapolare di lana che gli proteggeva le spalle; il medesimo si era appiccicato alle piaghe del corpo ed egli patì dolori strazianti quando glielo strapparono. La profonda ferita scavata sulla spalla dall'enorme peso della croce gli provocava una sofferenza indicibile; il dorso e le spalle erano lacerati fino all'osso, il corpo nudo era orribilmente sfigurato, gonfio e piagato...

Gesù, vera immagine di dolore, fu disteso dai carnefici sul letto della sua morte. Dopo avergli sollevato il braccio destro, questi poggiarono la sua mano sul foro praticato nel braccio della croce e ve la legarono strettamente. Poi uno dei due crocifissori pose il ginocchio sul sacratissimo petto del Signore, mentre gli manteneva aperta la mano che si contraeva, e subito l'altro gli conficcò nel palmo di quella stessa mano un chiodo spesso e lungo, dalla punta acuminata. Quindi gli diede sopra dei pesanti colpi di martello. Il Salvatore emise un gemito di dolore e il suo sangue sprizzò sulle braccia dei carnefici. Contai i colpi di martello, ma ne ho dimenticato il numero.

I mazzuoli dei carnefici erano di ferro, avevano pressappoco la forma dei martelli da falegname, però erano più grandi e formavano un pezzo unico col manico. I chiodi, la cui dimensione aveva fatto fremere Gesù, erano talmente lunghi che quando furono conficcati nelle mani e nei piedi del Redentore uscivano dietro la croce. Dopo aver inchiodato la mano destra di Gesù al legno della croce, i carnefici si accorsero che l'altra mano non arrivava al foro praticato nell'asse sinistro della croce. Allora legarono una fune al braccio sinistro di Gesù e, puntando i piedi contro la croce, lo tirarono con tutte le loro forze, finché la sua mano raggiunse il foro. Gesù soffriva indicibilmente perché gli avevano slogato interamente il braccio. I crocifissori s'inginocchiarono sopra le braccia e sul petto del Signore e conficcarono il chiodo nella sua mano sinistra, che subito sprizzò un gettito di sangue. I gemiti di dolore del Salvatore si udivano attraverso il rumore dei pesanti colpi di mazzuolo...

I carnefici distesero le gambe del Signore, che si erano ritratte verso il corpo a causa della violenta tensione delle braccia, e le legarono con le corde. Non riuscendo però a far arrivare i piedi al supporto di legno destinato a sostenerlo, essi rinnovarono gli insulti contro di lui. Intervennero alcuni crocifissori propensi a fare nuovi fori per i chiodi conficcati nelle mani perché sembrava difficile spostare lo zoccolo di legno che avrebbe dovuto sostenere i piedi.. legarono con le funi la gamba destra e la tirarono con violenza crudele finché non raggiunse lo zoccolo di legno, provocando a Gesù un'orribile stiramento...

Gli avevano legato il petto e le braccia perché le mani non si staccassero dai chiodi. Poi legarono il piede sinistro sopra il destro, presero un chiodo ben più lungo di quello delle mani e glielo infissero, conficcandolo fin nel legno della croce. Io guardai quel chiodo trapassare i due piedi del Signore e il supporto di legno. La chiodatura dei piedi fu più crudele di ogni altra, a causa della tensione di tutto il corpo. Gesù è crocifisso.

Era circa mezzogiorno e un quarto quando la croce fu innalzata con Gesù crocifisso... Quando la croce fu innalzata, e fu lasciata cadere di peso nella buca, tremò tutta per il contraccolpo. Gesù levò un profondo gemito di dolore, le sue ferite si allargarono, il sangue ne sgorgò più copioso e le sue ossa slogate si urtarono. La testa, cinta dalla corona di spine, sanguinò violentemente... I carnefici appoggiarono le scale alla croce e slegarono le funi che avevano trattenuto il santo corpo di Gesù durante la chiodatura; in tal modo il sangue riprese a circolare improvvisamente affluendo alle sue piaghe. Ciò causò al Signore altri indicibili dolori...

Contemplai con tenera compassione il mio Signore con l'orribile corona di spine, il sangue che gli riempiva gli occhi, la bocca semiaperta, la chioma e la barba insanguinata, il capo abbattuto sul petto. Dopo lo svenimento, a causa del peso della corona di spine, egli rialzò la testa con fatica. Il suo petto si era rialzato, scavando al di sotto una depressione profonda, l'addome era cavo e rientrato; le spalle, i gomiti, i polsi, le cosce e le gambe tutte slogate. Le sue membra erano tese e i muscoli dilaniati, al punto tale che era possibile contarne le ossa. Il suo santo corpo era ricoperto di macchie orribili, nere, blu e giallastre. Il sangue gli colava dalle mani lungo le braccia e scorreva dal foro prodotto nei suoi sacratissimi piedi, irrorando la parte inferiore dell'albero della croce. Il sangue, dapprima rosso vivo, divenne alla fine pallido e acquoso. Eppure, anche così sfigurato, il santo corpo del Signore, simile a un cadavere dissanguato...

A mezzogiorno, nubi fitte e rossastre coprirono il cielo; a mezzogiorno e mezzo, che corrisponde alla cosiddetta ora sesta dei Giudei, vi fu l'oscuramento miracoloso del sole. Un poco alla volta, il cielo intero s'incupì e si tinse di rosso. Uomini e bestie furono afferrati dalla paura... Gli stessi farisei guardavano con timore il cielo: essi erano talmente spaventati da quelle tenebre rossastre che cessarono perfino d'ingiuriare Gesù...
Quando tornò la luce del giorno, si vide il santo corpo del Signore appeso alla croce, esangue, livido e più bianco di prima a causa del sangue versato. Il centurione.. strappò dalle mani del soldato la spugna, la svuotò e l'impregnò d'aceto puro. Poi l'adattò a una canna d'issopo e la pose in cima alla sua lancia, che portò fino alla bocca del Signore. L'ultima ora del Signore era ormai prossima. Egli lotta va contro la morte come un uomo comune; un sudore freddo gli copriva tutto il corpo e il petto ansimava sempre più forte. Giovanni, sotto la croce, gli asciugava i piedi con un sudario. Maria Maddalena, distrutta dal dolore, era appoggiata dietro la croce. La Vergine si manteneva in piedi fra la croce di Gesù e quella del buon ladrone, sostenuta da Salomè e da Maria di Cleofa. Giunto all'estremo, Gesù disse: «Tutto è compiuto!».

Sollevò il capo e gettò un grido forte e soave che penetrò il cielo e la terra: «Padre, nelle tue mani rimetto il mio spirito! Quando il Signore chinò il capo e rese lo spirito, erano passate da poco le ore quindici. Vidi la sua anima discendere nel limbo come una figura luminosa. Giovanni e le pie donne caddero con la fronte nella polvere.

Tutto si era ormai compiuto, l'anima del Signore aveva abbandonato il santo corpo. L'ultimo grido del Santo dei santi aveva fatto tremare la terra e quelli che lo avevano udito; la roccia del Calvario si spaccò e numerose case crollarono. Le poche persone ancora presenti sul Golgota si percossero il petto e si affrettarono a rincasare. Le vidi profondamente commosse, mentre si laceravano le vesti e si cospargevano il capo di polvere. Giovanni e le pie donne si rialzarono e prestarono amorevoli cure alla Vergine.

Abenadar, dopo aver presentato l'aceto al Salvatore, rimasto stranamente impressionato: fermo sul suo cavallo, egli non poteva più distogliere gli occhi dal santo volto di Gesù coronato di spine. Perfino il cavallo abbassò il capo e il centurione gli allentò le redini. In quel momento la luce della grazia lo illuminò ed e, si sentì trasformato. Il cuore orgoglioso del fiero centurione si era infranto come la roccia del Calvario. Egli gettò lontano la lancia, si batté il petto con forza ed emise il grido dell'uomo nuovo: «Benedetto sia il Signore onnipotente, il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe! Questi era certamente un giusto, ed è veramente il Figlio di Dio!»...

Con un'estrema convulsione, il corpo di Cristo divenne esangue e impallidì in modo straordinario, mentre le sue ferite, dalle quali era fuoruscito il sangue in abbondanza, risaltavano come macchie scure... Nell'affidarsi completamente alla morte, Gesù aveva sollevato la sua testa coronata di spine lasciandola ricadere sotto il peso dei dolori; le sue labbra, divenute livide e contratte, si erano socchiuse senza più alcuna tensione, così le sue mani sostenute dai chiodi si distesero, come anche le braccia. Il suo dorso si irrigidì lungo la croce e tutto il peso del corpo poggiò sui piedi, le ginocchia si piegarono tutte da un lato ed i suoi piedi trafitti si girarono un poco intorno al chiodo.

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Gesù è condannato a morte

Pilato si assise sul seggio più elevato, di fronte alla colonna della flagellazione. Il seggio era ricoperto da un drappo scarlatto sul quale stava un cuscino azzurro con i bordi gialli; dietro ad esso si trovava il banco degli assessori.
Il Salvatore fu trascinato attraverso la folla e venne posto in mezzo a due ladroni condannati alla crocifissione. Gesù aveva il manto rosso sulle spalle e la corona di spine intorno al capo martoriato; la moltitudine furiosa lo scherniva e lo malediceva. I sacerdoti avevano fatto ritardare l'esecuzione di questi ladroni della peggiore specie con l'intenzione di umiliare maggiormente Gesù.
Le croci dei ladroni giacevano a terra accanto a loro; ma non vidi la croce del Salvatore, probabilmente perché la sua sentenza di morte non era stata ancora pronunciata. Appena si fu assiso sul seggio, Pilato disse ancora una volta ai nemici di Gesù: «Ecco il vostro re!». Ma essi risposero: «Crocifiggilo!».
Pilato replicò: «Dovrò dunque crocifiggere il vostro re?».
«Noi non abbiamo altro re all'infuori dell'imperatore!», risposero pronti i sommi sacerdoti. Vidi Gesù, alla base della scalinata che conduce al tribunale, esposto al dileggio dei suoi nemici...

Pilato pronunciò la sentenza di morte Con la disinvoltura di un pusillanime. Dopo un lungo preambolo espose i capi d'accusa contro Gesù: «Condannato a morte dai capi dei sacerdoti per aver turbato l'ordine pubblico e violato le leggi ebraiche, facendosi chiama figlio di Dio e re dei Giudei».. E, facendo portare la croce, Pilato concluse con la condanna capitale:
«Condanno Gesù di Nazareth, re dei Giudei, alla crocifissione!».

Pilato redasse la condanna a morte... Il senso di questo scritto era il seguente: «Costretto dalle insistenti pressioni dei sacerdoti del tempio, da tutto il Sinedrio e dalla minaccia di una sommossa popolare, ho consegnato agli Ebrei Gesù di Nazareth, accusato d'aver turbato la pace pubblica, di aver bestemmiato e violato le loro leggi. Ho pronunciato la condanna di quest'uomo nonostante le accuse non chiare, per non essere accusato dall'imperatore di aver provocato una rivolta dei Giudei. L'ho consegnato alla crocifissione insieme a due criminali già condannati dai Giudei».

Egli fece scrivere su una tavoletta di colore bruno iscrizione da apporre sopra la croce i sommi sacerdoti, che si trovavano ancora nel tribunale, protestarono indignati contro la formulazione della sentenza, poiché Pilato aveva scritto che essi avevano fatto ritardare l'esecuzione dei ladroni con il proposito di crocifiggere Gesù con loro. Inoltre essi chiesero che sulla tavoletta non si scrivesse «re dei Giudei», bensì che «si era detto re dei Giudei». Pilato si spazientì e rispose loro incollerito: «Ciò che ho scritto, è scritto!». Tuttavia essi pretendevano che l'iscrizione fosse almeno soppressa, rappresentando un insulto alloro onore. Pilato non esaudì la loro richiesta, e così fu necessario allungare la croce mediante l'aggiunta di un altro pezzo di legno, sul quale si poteva inchiodare la tavoletta con la scritta.

Quando la croce di Gesù fu adattata in questo modo, risultò più alta di quelle dei ladroni e assunse la forma di una Y, come ho sempre contemplato; i due bracci risultarono più sottili del tronco; infine si appose uno zoccolo di legno nel posto dei piedi per sostenerli...

Il Signore venne abbandonato nelle mani dei carnefici. Gli restituirono i suoi indumenti, poiché era usanza dei Romani rivestire coloro che venivano condotti al supplizio...
Per poterlo rivestire, quegli ignobili lo denudarono un'altra volta e gli slegarono le mani. Gli strapparono violentemente il mantello purpureo, provocandogli con gran dolore la riapertura delle ferite. Egli stesso, tremante, si cinse con la fascia che serviva a coprirgli le reni. Gli fu gettato lo scapolare sulle spalle. Siccome a causa della corona di spine era impossibile infilargli la tunica inconsutile, essi gliela strapparono dalla testa causandogli dolori indicibili. Sulla tunica, tessuta dalla sua santa Madre, gli fecero indossare l'ampia veste di lana bianca, la larga cintura e il mantello. Intorno alla vita gli legarono la cinghia munita di punte, dov'erano attaccate le corde con le quali lo trascinavano. Tutto ciò fu eseguito con disgustosa brutalità.

I due ladroni stavano uno a destra e l'altro a sinistra di Gesù, avevano le mani legate e portavano una catena at torno al collo. Erano ridotti male: a causa della recente flagellazione i loro corpi erano ricoperti di piaghe. Indossavano una tunica senza maniche e una cintura intorno alle reni, sul capo avevano un cappello di paglia intrecciata, simile a quello che portano i bambini.
Il ladrone, che più tardi si convertì, era già calmo, rassegnato e pensoso; l'altro, invece, era volgare e insolente: egli si univa ai carnefici nel lanciare insulti e imprecazioni contro Gesù, il quale offriva le sue sofferenze per la loro salvezza. Vidi i carnefici occupati a sistemare gli attrezzi di tortura e a organizzare il doloroso cammino del Redentore.

Dopo aver ricevuto una copia della sentenza, i sacerdoti si affrettarono a raggiungere il tempio. E mentre questi perfidi immolavano sull'altare di pietra gli agnelli pasquali, lavati e benedetti, i brutali carnefici sacrificavano sull'altare della croce l'Agnello di Dio, sfigurato e contuso. Il primo era l'altare simbolico della legge; il secondo era quello della grazia, della carità e del perdono.

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GESU' E' FLAGELLATO

L'orribile flagellazione ( secondo le rivelazioni di suor Caterina Emmerick)

Per calmare la plebaglia con una punizione che la impietosisse, Pilato diede ordine di flagellare Gesù, secondo l'uso romano.. Fra il tumulto e il furore popolare Gesù fu condotto dagli sgherri sul piazzale.

Il Signore venne trascinato bruscamente vicino al corpo di guardia del pretorio, dove si trovava la colonna di marmo munita di anelli e ganci; essa era destinata esclusivamente alla flagellazione dei condannati. I sei flagellatori, che svolgevano la funzione di carnefici nel pretorio, provenivano dalle frontiere egiziane, erano bruni, bassi e tarchiati; seminudi e mezzo ebbri, sembravano bestie assetate di sangue. Essi avevano nello sguardo qualcosa di diabolico; vicino a quella colonna avevano fustigato a morte molti altri condannati.
Benché il Salvatore non avesse opposto alcuna resistenza, venne trascinato con le funi, mentre i flagellatori gli assestavano pugni e calci.
Gli strapparono di dosso il manto derisorio di Erode e fecero quasi cadere il Signore a terra. Vidi Gesù tremare e rabbrividire davanti alla colonna. Egli stesso si tolse la veste con le mani gonfie e sanguinanti. Poi pregò e volse per un attimo lo sguardo verso la sua santa Madre immersa nel dolore...
I carnefici, senza cessare le loro orrende imprecazioni, legarono le mani di Gesù a un grande anello fissato alla sommità della colonna dell'infamia. Così facendo, gli tesero talmente le braccia al di sopra della testa che i piedi legati fortemente alla colonna non toccavano completa mente il suolo.
Due di quei bruti, assetati di sangue, iniziarono a flagellare il corpo immacolato di Gesù provocandogli i più atroci tormenti. Non mi è possibile descrivere le tremende atrocità inflitte a nostro Signore.
Le prime verghe di cui si servirono gli aguzzini erano strisce di color bianco, sembravano fatte di legno durissimo o nervi di bue.
Dorso, gambe e braccia venivano lacerati sotto i pesanti colpi del flagello, finché la pelle a brandelli col sangue schizzò al suolo. I gemiti dolorosi di Gesù sofferente erano soffocati dal clamore della plebaglia e dei farisei, che continuavano a gridare: "Fatelo morire! Crocifiggetelo!".
Per imporre il silenzio, e continuare a parlare al popolo, Pilato faceva suonare una tromba. Allora sulla piazza si udivano solo le sue parole, accompagnate dall'orribile sibilo della frusta e dai gemiti del Signore, come anche dalle imprecazioni degli ebbri carnefici...

La maggior parte del popolo manteneva una certa di stanza dal luogo della flagellazione, solo alcuni andavano e venivano dai paraggi della colonna per insultare il Signore... Giovani infami preparavano verghe fresche presso il corpo di guardia, altri cercavano rami spinosi per intrecciare la corona di spine. I servi dei sacerdoti avevano regalato denaro ai flagellatori e avevano dato loro delle brocche colme di un liquore rosso, del quale bevvero fino a ubriacarsi.

Dopo un quarto d'ora i carnefici che avevano flagellato Gesù furono Sostituiti da altri due. Questi ultimi si avventarono contro Gesù con cieco furore, usando anche bastoni nodosi con spine e punte. I colpi dei loro flagelli laceravano la carne del Signore fino a farne sprizzare il sangue sulle braccia dei carnefici. Presto quel santo corpo fu ricoperto di macchie nere e rosse, il sangue colava a terra ed egli si muoveva in un tremito convulso, tra ingiurie e dileggi...

La terza coppia di carnefici si avventò con maggior foga delle altre sul corpo martirizzato di Gesù. Per la fustigazione essi si servirono di cinghie munite di uncini di ferro. Eppure la loro rabbia diabolica non si placò. Gesù venne slegato e poi di nuovo legato, questa volta col dorso contro la colonna. Poiché il Signore non poteva più reggersi, gli passarono delle corde sul petto e lo legarono con le mani dietro la colonna. Ripresero così a fustigarlo. Gesù aveva il corpo ridotto a un'unica piaga e guardava i suoi carnefici con gli occhi pieni di sangue, come se implorasse la grazia. Ma, in risposta ai suoi flebili gemiti, la loro furia aumentò e uno dei carnefici lo colpì al viso con un'asta più flessibile.

L'orribile flagellazione durava già da tre quarti d'ora, quando uno straniero d'infima classe, parente di un cieco sanato da Gesù, si precipitò dietro la colonna con un coltello a forma di falce e gridò con voce indignata: "Fermatevi! Non colpite quest'innocente fino a farlo morire!". Approfittando dello stupore dei carnefici ebbri, lo straniero recise le corde annodate dietro la colonna e subito disparve tra la folla. Gesù cadde al suolo in mezzo al suo sangue; gli aguzzini lo lasciarono e se ne andarono a bere...

Al loro ritorno i flagellatori lo presero a calci per farlo rialzare. Gesù, strisciando, fece per riprendersi la fascia che gli aveva cinto i fianchi, ma i carnefici gliela spingevano sempre più lontana, costringendolo a contorcersi al suolo nel suo sangue e a strisciare come un verme; tutto questo avveniva tra i fischi, i motti e gli insulti della gente. Infine lo rimisero in piedi, gli gettarono la veste sulle spalle e lo sospinsero frettolosamente verso il corpo di guardia. Con la veste egli si asciugava il sangue che gli fuoriusciva copioso dal volto... Quando la crudele flagellazione ebbe fine erano circa le nove del mattino.

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LA PASSIONE DI GESU' SECONDO LE RIVELAZIONI DI ANNA KATHARINA EMMERICK

                    LA PASSIONE DI GESU'

La morte violenta di Gesù non è stata frutto del caso in un concorso sfavorevole di circostanza, ma un disegno divino di salvezza attraverso la messa a morte del Servo, il Giusto. Un mistero di redenzione spirituale per liberare gli uomini dalla schiavitù del peccato. La sua Santissima Passione sul legno della croce ci meritò la giustificazione, insegna il Concilio di Trento, sottolineando il carattere unico del sacrificio di Cristo come "causa di salvezza eterna" (Catechismo 617)

La Passione di Gesù è narrata nei Vangeli da: Matteo (Mt 26,36-66); Marco (Mc 14, 43-47); Luca (22, 39-56); Giovanni (18, 1-42), tuttavia nella storia millenaria della Chiesa, Gesù ha illuminato alcuni mistici, fornendo particolari su questo importante e drammatico avvenimento che ha cambiato la storia dell'umanità. Un sacrificio d'amore che ha travalicato i secoli e in grado di commuovere e convertire qualsiasi anima giusta, anche oggi.

Abbiamo già trattato la Passione di Gesù, tratta dal libro: "Aprirò una strada nel deserto" ed ora riportiamo un sunto della Passione secondo le rivelazioni di Suor Anna Caterina Emmerick. Per un maggior approfondimento si può far riferimento ai suoi libri. Ebbene, chi era questa importante Mistica?

 SECONDO LE RIVELAZIONI DI ANNA KATHARINA EMMERICK (1774-1824)

Anna Katharina Emmerick nacque l'8 settembre 1774 nella comunità di contadini di Flamschen presso Coesfeld. Lei crebbe insieme a nove fratelli e sorelle. Già da piccola lei dovette aiutare in casa e nei lavori dei campi. Frequentò per poco tempo la scuola, ma si notava il fatto che lei era ben istruita su cose religiose. Ben presto i genitori e tutti quelli che conoscevano Anna Katharina si accorsero che lei si sentiva attratta in maniera particolare dalla preghiera e dalla vita religiosa.

Nel 1802, Anna Katharina poté finalmente entrare nel monastero di Agnetenberg presso Dülmen. L'anno seguente prese i voti. Lì prese parte alla vita monastica con fervore, era sempre pronta ad assumersi i lavori più pesanti e non amati. A causa della sua povera origine, lei fu in principio poco considerata. Alcune delle sue consorelle si scandalizzavano della sua esatta osservanza alla regola dell'Ordine e la consideravano un'ipocrita. Anna Katharina sopportava in silenzio questo dolore e in silenziosa rassegnazione.

Dal 1802 al 1811 Anna Kataharina si ammalò frequentemente e aveva gravi dolori da sopportare. Nel 1811 il Monastero di Agnetenberg, a causa del movimento di secolarizzazione, venne soppresso. Anche Anna Katharina dovette abbandonare il monastero e trovò accoglienza come domestica presso l'Abbé Lambert, un prete fuggito dalla Francia, che viveva a Dülmen. Ma presto lei si ammalò e non poté più lasciare la casa e fu costretta a letto.

In questo periodo Anna Katharina Emmerick ricevette le stigmate, i cui dolori aveva già sofferto da molto più tempo. Il fatto che lei portava le piaghe non poteva rimanere nascosto. Il Dr. Franz Wesener, un giovane medico, le fece visita e fu da lei così tanto impressionato che divenne per lei, negli 11 anni seguenti, un fedele, aiutante e disinteressato amico.

Nell'estate del 1823 Anna Katharina divenne sempre più debole. Come in tutti gli anni passati lei unì la sua sofferenza con la sofferenza di Gesù e la offrì per la redenzione degli uomini. Anna Katharina Emmerick morì il 9 febbraio 1824. Fu sepolta nel cimitero di Dülmen. Numerose persone presero parte al funerale. Poiché sorse la diceria che il cadavere di Anna Katharina fosse stato trafugato, la tomba, nelle settimane successive al funerale, aperta due volte: la bara con il cadavere fu trovata intatta.

La vita di Anna Katharina Emmerick è contraddistinta da una profonda unione con Cristo. Lei amava pregare davanti alla famosa croce di Coesfeld, spesso lei andava alla Via Crucis. Lei partecipava così intimamente alla sofferenza del Signore che non è esagerato dire: lei visse, soffrì e morì con Cristo. Un segno esteriore di questo, ma che è nello stesso tempo più di un semplice segno, sono le stigmate che lei portava.


Nel 1818, quando Anna Caterina aveva 45 anni, attirato dalla sua fama, venne a visitarla il famoso scrittore e poeta Clemens Maria Brentano, uno dei più importanti rappresentanti del romanticismo tedesco. Appena le si presentò la veggente lo riconobbe, perché lo aveva già visto nelle sue visioni. Sapeva che era l'uomo scelto da Dio per raccogliere e mettere per iscritto ciò che lei vedeva. Sapeva anche che, se era vissuta fino a quel giorno, era per aspettare lui.

Brentano, che era venuto per trattenersi pochi giorni, non se ne andò più: rimase a Dülmen sei anni, per collaborare alla missione di Anna Caterina. Giorno dopo giorno, annotò ciò che lei gli narrava: dodicimila pagine che descrivono nei dettagli la vita di Gesù e di Maria Vergine.


Le visioni della Emmerich erano del tutto particolari: lei si separava dal corpo dopo essere stata "chiamata" dal suo angelo custode e il suo spirito si recava in Terra Santa dove assisteva agli episodi evangelici come se stessero avvenendo in quel momento; il giorno dopo li descriveva a Brentano. Né la monaca né il poeta erano mai stati in Terra Santa, eppure Anna Caterina ha descritto con sorprendente precisione i luoghi della vita di Gesù e della Madonna, gli abiti, le suppellettili, i paesaggi. Sulla base delle descrizioni della Emmerich è stata ritrovata a Efeso la casa dove la Vergine visse dopo la morte di Gesù. Era una casa rettangolare di pietra, a un piano solo, col tetto piatto e il focolare al centro, tra boschi al margine della città perché la Vergine desiderava vivere appartata. Il sacerdote francese Don Julien Gouyet, dando credito a queste visioni, andò in Asia Minore alla ricerca della casa descritta da Caterina. Gouyet effettivamente trovò i resti dell’edificio, nonostante le trasformazioni subite nel tempo, a nove chilometri a sud di Efeso, su un fianco dell'antico monte Solmisso di fronte al mare, esattamente come aveva indicato la Emmerich.

Anna Katharina Emmerick fu una grande devota di Maria. La festività della nascita di Maria era anche il suo compleanno. Una frase da una preghiera mariana ci indica un ulteriore aspetto della vita di Anna Katharina. In questa preghiera si recita: "O Dio, lasciaci servire l'opera della Redenzione secondo il modello della fede e dell'amore di Maria". Servire l'opera della Redenzione: questo voleva Anna Katharina Emmerick.

Dagli scritti di Brentano riguardanti le visioni di Caterina Emmerich vennero pubblicati, oltre al libro suddetto, anche: "La dolorosa Passione di Nostro Signore Gesù Cristo secondo le meditazioni di Anna Caterina Emmerich" (1833), "La vita della Beata Vergine Maria" (1852), "La vita di Nostro Signore" (1858-80 e 1981).

Anna Caterina Emmerich è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004.


Di seguito verranno riportate alcune parti della  passione di Gesù attraverso le rivelazioni di questa suora che ha portato sul suo corpo le Stimmate...

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Caro dolce Gesù

Caro Dolce Gesù
grazie per le parole di comprensione e di perdono che urli dall’alto della croce al culmine della tua passione:

«Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno». (Lc, 23, 34)

“Urlo” che si ripercuote nell’intero universo come un “rumore di fondo”, come un “big bang d’Amore”, capace di penetrare in ogni cosa, capace di penetrare nel Cuore del Padre e nei cuori di tutti gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo.
Con quelle parole tu abbracci tutti gli uomini che prendono parte, in qualche modo, al dramma della tua passione e morte. Tu, che con il tuo sguardo d’amore sai scrutare nel cuore di ognuno, vedi che praticamente tutti i comprotagonisti di quel dramma di allora, così come di tutte le vicende della storia umana di oggi e di
sempre, sono spiritualmente ciechi, che non si rendono conto di essere divenuti compartecipi del più grande dei sacrifici che si sia mai svolto sull’altare dell’Universo, su quel basso monte che è il Golgota, su quel trono regale che è la Croce Santa.
Così, alcune delle “comparse” di allora erano accecate dall’odio, altre erano “passanti” curiosi che, trovandosi presenti sulla scena, si lasciarono attrarre dal dramma-spettacolo dell’Uomo della Croce, altre, ancora, erano pie donne che piangevano su di Te, quasi tu fossi un loro figlio condannato ingiustamente a morte, altre, infine, erano funzionari ed esecutori di ordini ricevuti, come i soldati romani.
Se questi uomini e donne si fossero resi conto di quanto grande è il Sacrificio di cui erano spettatori, e di chi è il Sommo Sacerdote e Vittima di tale sacrificio non potrebbero non aver preso posizione o per Te o contro di Te. Invece erano lì, in sospeso, ciechi o con la vista annebbiata, incapaci di percepire la luce che quel sacrificio sprigionava tutt’intorno, e, pertanto, erano uomini che “non sanno quello che fanno”.
Noi sappiamo, o Gesù, Figlio Unigenito del Padre, che tu vuoi attrarre tutti a te, abbracciare tutti, consegnare tutti al Padre, trasformandoci, attraverso il tuo Amore, in offerte gradite, senza violare la libertà di alcuno; che tu desideri che ognuno, nonostante la cecità o la vista annebbiata, percepisca il soave profumo di quel tuo Sangue versato per tutti gli uomini, di quelle gocce d’acqua che dal tuo Cuore aperto inondano e lavano la
Terra.
L’Amore chiede amore, non fa violenza a nessuno, non si chiude mai in se stesso, attende paziente la risposta dell’altro.
O Gesù, elevato sull’altare della croce con quelle tue braccia aperte fra terra e cielo, tu sei l’Alfa e l’Omega, il Dio che racchiude in sé l’umanità piena e la divinità una e trina, il Dio “povero” che unisce la fragilità umana con l’onnipotenza divina, il Re e il suddito, il Sacerdote che offre se stesso come vittima sacrificale, mettendosi totalmente nelle mani dei suoi “concelebranti”; che, per il fatto stesso di essere compartecipi del sacrificio, acquisiscono la dignità di sacerdoti e di re; ma così come “non sanno quello che fanno”, neppure sanno quello che sono o che possono diventare.


O Maria, tu, unica, sai veramente quello che fai, quello che sei, anche tu vittima sacrificale in intima comunione con il Figlio, sola pienamente “vivente” in completa armonia con il Padre e il Figlio, perfetta orante e perfetta concelebrante, e per questo proclamata e consacrata Madre Universale, così come Dio è Padre. O Madre di Gesù e Madre nostra, rigeneraci attraverso il tuo Figlio prediletto che hai saputo portare in te in ogni momento, prima in corpo e anima e poi nello Spirito, che continui a portare Gesù e a portarci Gesù.


Solo tu puoi compiere il miracolo di renderci simili a Lui, di diventare veramente coscienti di quanto è grande la “celebrazione” della nostra vita se noi la viviamo in comunione con Te e con il Tuo Figlio Gesù. Di quanto vale la pena di essere concelebranti ardenti di quel sacrificio del Figlio di Dio Padre e Tuo, che si rinnova continuamente su tutta la Terra, che continua a rinnovare la Terra. Di come ogni frammento di esistenza possa essere e diventare un piccolo passo verso il trono regale del Figlio, calice in cui gustare quel sangue
vivificante.


Madre aiutaci ad essere vivi, veramente vivi, a crescere nella vita. Lo sappiamo che se vogliamo essere pienamente figli non possiamo non crescere nella vita, non possiamo non crescere nell’amore. Ma tu o Madre accompagnaci per mano come dei piccoli bambini, facci gustare la tenerezza tua e del Padre, aiutaci ora e sempre a percorrere la via verso il Regno.


Che questa Pasqua sia per tutti risorgere con il Figlio che continua ad aprirci la via verso la vita nuova, donandosi interamente a tutti e a ciascuno di noi, che sia anche per noi rinascere attraverso di Te o Madre come fratelli del Figlio e figli del Padre.


Così sia




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Nell'attesa della tua Pasqua

"C’è un momento per fermarsi, cercare e ritrovare se stessi! Un momento per liberarci dalla schiavitù del quotidiano, dalle cose che spesso ci opprimono. Un momento per porsi delle domande, ritrovare la passione per le cose che si vedono e leggerle nella prospettiva del Mistero di Dio. Un momento per ripartire da Dio: non dare mai nulla per scontato e, come la notte cerca l’aurora, cercare senza sosta il volto nascosto del Padre."

 Per avere gli stessi sentimenti di Gesù dobbiamo entrare insieme con i discepoli nel Getsemani, avendo cura di non addormentarci. Dobbiamo fare esperienza del silenzio… nel silenzio si vive solo col cuore e con l’anima. Forte è la paura di rimanere soli con noi stessi, con le nostre paure e povertà interiori. Ma… è qui che ti voglio … ci dice il Signore… finché la tua anima non avrà capito che quello è il luogo dell’appuntamento, il luogo dell’incontro…  il luogo delle lotte interiori, del Bene e del Male, dell’incontro con Lui faccia a faccia… e dell’incontro con noi stessi!

La tentazione più grande è proprio quella di arrivare a pensare, quando siamo nella prova, che non sia poi così vero che Dio ci voglia bene, che ci custodisca e pensi a noi come fa un padre con i suoi figli.
L’orrore per ciò che si sta vivendo sembra l’unica cosa che trova posto nel cuore e null’altro è importante. E’ la tentazione che anche Gesù attraversa nel Getsemani: dov’è il Padre in questo momento? Gesù affronta questa tentazione immergendo la propria vita nella preghiera, nella ricerca della comunione con il Padre che mai come in quel momento sembrava lontano.

"Signore, concedici la serenità di accettare le cose che non possiamo cambiare, il coraggio di cambiare quelle che possiamo e la saggezza necessaria per capire la differenza."


L’unica cosa che ti fa veramente soffrire, Dio, è lo scoraggiamento e la disperazione: se mi vergogno di me stesso e mi sento indegno di te, se non so sceglierti e sono deluso dai miei ricorrenti peccati, se penso che tanto ormai… non vale più la pena… è tutto inutile, donami la forza di rialzarmi, il coraggio di non avere paura dei miei limiti, la speranza di poter superare le difficoltà che incontro anche oggi. Perché tu ami tutto ciò che hai creato e in particolare me. Perché tu sei più forte della mia debolezza e riuscirai a trasformarmi nella creatura splendida che è dentro di me. Quindi non lasciare che mi perda mai d’animo. Stammi sempre vicino mentre con speranza proseguo il cammino della vita.

"..Tu sei ciò che ami.
Se ami il denaro sarai sempre uno schiavo.
Se ami l’apparenza ti vedrai presto un fallito.
Se ami il povero ti sentirai un vero ricco.
Se ami la verità diventerai una persona libera.
Se ami tutti in tutto sentirai in te il respiro di Dio. Non dimenticarlo: tu sei solo e sempre ciò che ami.."



Questa sera, Signore, ripenso a ciò che tu hai detto: “L’amore più grande è dare la vita per gli altri!”. La tua vita sulla terra è stata un donare, sempre, tutto, fino a lasciarti sollevare sulla croce e portare ogni cosa a compimento. Di fronte a te, al tuo dono totale, penso alla mia vita, ai miei impegni mai vissuti fino in fondo, al mio sì mai deciso, mai completo. Mi scopro debole e inconsistente, egoista e pauroso. Ricordami, Signore, che la tua morte è vita, è speranza; che la tua sofferenza è gioia; che il donare è ricevere. Nell’attesa della tua Pasqua, fammi vedere un raggio di luce, un riflesso luminoso che mi parli della vita che tu, per amore, hai donato.

"La vita è nelle nostre mani, l’amore è nei nostri cuori,
la verità è sulle nostre labbra,
la speranza nelle nostre decisioni. E Sarà la Pasqua!"

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Il Sorriso di Dio

L'uomo al Padre:

"... Solo quando avrò imparato ad amare ed a perdonare potrò dire di averTi incontrato e riconosciuto .... Ora no, ora ancora non posso: sono troppo sporco, troppo freddo, troppo incredulo, troppo diffidente, troppo vendicativo, troppo coperto di mille abiti che non solo il tuo abito, sono gli abiti dei tanti mali dell'universo che lentamente - senza quasi che me ne rendessi conto - mi hanno ricoperto rendendomi lercio e pesante, non posso avvicinarmi a Te: Tu sei la Luce, la Grazia, lo Splendore, l'Infinito; oh no, non oso accostarmi a Te; inorridiresti guardandomi.
Andrò da Tua Madre, Lei è la Madre; mi prostrerò ai suoi ginocchi e l'invocherò coi nomi più dolci e più teneri che mi farò suggerire da Tuo Figlio, e Lei non potrà reggere. Prima fremerà per l'orrore e poi sarà vinta dall'amore.

Mi rialzerà; aiutata dagli angeli mi toglierà uno ad uno tutti gli abiti che su di me si erano accumulati, impastati; farà fatica a toglierli, perchè ha timore di farmi male; ma io, sorridendo, la rassicurerò e la pregherò di far presto, il più presto che può perchè non posso più attendere. Ho male, tanto male, faccio schifo a me stesso, sento fino in fondo tutto il mio fetore ed ho timore di morire prima d'esserne liberato.
Maria, ti prego, Madre mia, fa' presto, altrimenti il figlio tuo non regge e muore prima che tu possa liberarlo.

Ma Lei, calma e decisa, quasi imperturbabile ormai, continua il suo lavoro finchè non resto nudo, ricoperto solo della mia pelle, di quella pelle che ricevetti da bambino quando uscii dal seno di mia madre. Mi guardo: sono sconosciuto a me stesso; ma Maria non indugia e non permette che io indugi in ripiegamenti o ripensamenti, prende un abito che aveva sul suo braccio e mi riveste. E' luminoso e splendente, ma quale non è la mia meraviglia quando mi accorgo che è simile al Suo, sembra quasi non ci sia differenza: mi ha rivestito di Sè.
Una Luce mi penetra tutto e mi aiuta a comprendere: Maria, rivestendomi di Sè, mi ha riconosciuto qual figlio e sorride felice.

In quel momento mi accorgo di non essere solo: in me, uomo, è tutta l'umanità redenta, affidata a Maria ai piedi della Croce e salvata dal Suo Amore di Madre.
La Madre, finalmente, può accompagnare il figlio dal Padre.

Oh sì, Madre, conducimi da Lui, da Lui sono uscito ed a Lui voglio ritornare; ma prima, Ti prego, insegnami ad amare del Tuo Amore perchè soltanto così potrò essere il sorriso del mio Dio.
Il dialogo termina col "sì" di Maria, l'eterno "sì" di Dio.

Oh Maria, insegnaci a dire di sì;
possa essere la nostra vita intessuta di un unico molosillabo;
quello che Tu pronunciasti prima di venire al mondo
obbedendo a un disegno di Dio,
e quello che continui a pronunziare istante dopo istante
perchè si realizzino i disegni di Dio su ogni uomo!"

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Grazie Gesù (di Santa Bernadette)

Per l'indigenza di mamma e papà, per la rovina del mulino, per il vino della stanchezza, per le pecore rognose: grazie, mio Dio! Bocca di troppo da sfamare che ero; per i bambini accuditi, per le pecore custodite, grazie! Grazie, o mio Dio, per il Procuratore, per il Commissario, per i Gendarmi, per le dure parole di Peyramale. Per i giorni in cui siete venuta. Vergine Maria, per quelli in cui non siete venuta, non vi saprò rendere grazie altro che in Paradiso. Ma per lo schiaffo ricevuto, per le beffe, per gli oltraggi, per coloro che mi hanno presa per pazza, per coloro che mi hanno presa per bugiarda, per coloro che mi hanno presa per interessata. Grazie, Madonna! Per l'ortografia che non ho mai saputa, per la memoria che non ho mai avuta, per la mia ignoranza e per la mia stupidità, grazie! Grazie, grazie, perché se ci fosse stata sulla terra una bambina più stupida di me, avreste scelto quella! Per la mia madre morta lontano, per la pena che ebbi quando mio padre, invece di tendere le braccia alla sua piccola Bernadette, mi chiamò suor Marie-Bernard: grazie, Gesù! Grazie per aver abbeverato di amarezza Questo cuore troppo tenero che mi avete dato. Per Madre Joséphine che mi ha proclamata: «Buona a nulla». Grazie! Per i sarcasmi della madre Maestra, la sua voce dura, le sue ingiustizie, le sue ironie, e per il pane della umiliazione, grazie! Grazie per essere stata quella cui la Madre Thérèse Poteva dire: «Non me ne combinate mai abbastanza». Grazie per essere stata quella privilegiata dai rimproveri, di cui le mie sorelle dicevano: «Che fortuna non essere come Bernadette!». Grazie di essere stata Bernadette, minacciata di prigione perché vi avevo vista, Vergine Santa! Guardata dalla gente come bestia rara; quella Bernadette così meschina che a vederla si diceva: «Non è che questa?!». Per questo corpo miserando che mi avete dato, per questa malattia di fuoco e di fumo, per le mie carni in putrefazione, per le mie ossa cariate, per i miei sudori, per la mia febbre, per i miei dolori sordi e acuti, Grazie, Mio Dio! Per quest'anima che mi avete data per il deserto dell'aridità interiore, per la vostra notte e per i vostri baleni. per i vostri silenzi e i vostri fulmini; per tutto, per Voi assente e presente, grazie! Grazie, o Gesù!
Bernadette

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